Dizionario della parlata occitanica provenzale alpina della Val Germanasca

Disiounari dâ patouà dë la Val San Martin

Dizionario della parlata occitanica provenzale alpina della Val Germanasca

di Guido Baret

Introduzione di CLAUDIO TRON

 

  

Alzani Editore, Pinerolo, aprile 2005, pp. 507

Che ne dite di una recensione del Dizionario della parlata occitanica provenzale alpina della Val Germanasca scritta nel patouà della Val San Martino?

È una novità, ma d’ora in avanti, purché si sappia parlare patouà, non è più un’impresa troppo difficile. Abbiamo infatti tutto quanto ci serve: tre dizionari in patouà della Val San Martino (quello di Guido Baret, quello di Teofilo Pons e quello di Pons-Genre). Possiamo inoltre consultare le note fonetiche e morfologiche di Arturo Genre. Per la presente recensione che, come ho detto sopra, è una novità, mi servirò soprattutto del dizionario di Guido Baret perché esso registra anche molti neologismi non contenuti negli altri due. La funzione più importante di un dizionario bilingue è quella di facilitare il passaggio da una lingua all’altra. Nell’assolvere questo compito il dizionario Baret fornisce una chiave preziosa, una di quelle chiavi che, per ripetere con le parole dell’assessore Valter Giuliano, possono servire a capire, valorizzare, raccontare e amare la nostra diversità culturale. Un’altra funzione del dizionario è quella di fornire un modello utile per scrivere e pronunciare correttamente le parole. Rispetto a questo problema ossia rispetto alla grafia, non me la sento di condividere tutte le soluzioni adottate dai revisori del dizionario Baret. Avrei preferito una pubblicazione senza modifiche del dattiloscritto, oppure, meglio ancora, che le modifiche apportate fossero coerenti con le scelte compiute da Arturo Genre nel corso della stesura del dizionario Pons-Genre.

Ho esaminato con attenzione il dizionario Baret, confrontandolo con i fogli dattiloscritti dell’autore e con il dizionario Pons-Genre. Le differenze riscontrate sono notevoli. A volte le differenze tra i due dizionari dipendono da una situazione di fatto: a Pomaretto molte parole vengono pronunciate diversamente rispetto a quanto avviene nell’alta Val San Martino, come conseguenza diretta cambia anche la grafia: Es.: “oouteunh”/“aouteunh” (autunno), “oousâ”/“aousâ”(alzare). A volte Baret utilizza parole molto più semplici rispetto ai termini, a mio avviso, un po’ troppo ricercati contenuti in Pons-Genre. Es.: “coupiâ” (copiare) al posto di “ërlëvâ”. Accade poi che la stessa parola, pronunciata allo stesso modo, sia scritta diversamente nei due dizionari. È il caso di tutte le parole contenenti (in sede tonica) dittonghi o trittonghi formati da una o due semivocali o semiconsonanti (‘i’ / ‘u’) più una delle altre vocali. Faccio qualche esempio per spiegarmi meglio. Nel dizionario Baret troviamo: “àoutri”, “àouto”, “àouro”, “làou”, “màire”, “pàire”, “diàou”, “pòou”, “talhòou”, “neùit”, “neùio”… Non si tratta di errori, ma l’accento è inutile perché le parole sono tutte piane e l’accento non potrebbe cadere altrove, in caso contrario non ci sarebbe più dittongo o trittongo, ma iato. Per questa ragione in Pons-Genre e nel dattiloscritto di Baret troviamo: “aoutri”, “aouto”, “aouro”, “laou”, “maire”, “paire”, “diaou”, “poou”, “talhoou”, “neuit”, “neuio”… senza accento. A volte l’uso sconsiderato degli accenti su dittonghi e trittonghi finisce per generare errori, tanto da impedire il riconoscimento della pronuncia corretta delle parole. La prima parte del dizionario appare corretta, ma, nella seconda parte, l’accentazione dei dittonghi anche in sede atona è frequente. Così troviamo, ad esempio, nella prima parte “aouris” e nella seconda “àouris”, e ancora “oouteunh”/“òouteunh”, “aousâ”/“òousâ»…

Mi sembra dunque doveroso segnalare l’incongruenza anche se non bisogna dimenticare che è stata fatta la cosa più importante: il dizionario è stato pubblicato ed è dunque “perfetto” nel senso etimologico del termine. Ritornando al problema della grafia, penso che, per giungere a soluzioni che soddisfino tutti, saranno ancora necessari anni di lavoro e di studio, ma per l’Italiano è stato peggio: sono trascorsi secoli e, su alcune questioni, ancora si discute. Non lasciamoci dunque scoraggiare. La pubblicazione di questo dizionario potrà aiutare molte persone a cominciare a scrivere in patouà.

Elena Breusa