Le lingue locali, via via meno orali, saranno salvate o uccise dalle grafie?

Dato l'interesse riscontrato da questo articolo, pubblicato con piccole modifiche sul numero 167 de La Valaddo, lo riportiamo qui come ulteriore spunto di discussione e di approfondimento.

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Grafie personali

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Le lingue locali via via meno orali, saranno salvate o uccise dalle grafie?

È noto che i patouà delle valli sono più "lingue parlate" che "lingue scritte", ma oggigiorno la grafìa può essere decisiva per la sopravvivenza di alcune varianti, ecco perché arriva questo articolo.

Alcune varietà di patouà godono di una "discreta salute" e hanno un buon numero di parlanti giovani e anziani (per esempio il martinenc della val Germanasca), altre varietà sono in via di estinzione e rimangono alcuni parlanti anziani con nessuno o pochissimi patouazant giovani. Immaginiamo che, come le lingue locali, scomparissero le stelle alpine: l'ecosistema-Alpi sopravviverebbe, ma perderebbe uno dei suoi segni più distintivi e cari.

Gli eredi di queste varietà in via di estinzione sono perlopiù di madrelingua italiana, sia di famiglie locali che arrivate da altrove. Se volessero imparare la loro lingua locale, essendo pochi i parlanti superstiti con cui interagire, la lingua scritta diventerebbe uno strumento fondamentale.

Il primo ostacolo all'avvio alla scrittura dei patouà è che, come esistono tante varietà di lingua parlata, esistono diverse grafie per lo scritto. Le tre più note sono la grafia concordata nota anche come Escolo dou Po, la normalizzata e la mistraliana, ma oltre a queste ce ne sono altre meno comuni che sono adattate o inventate da specifici autori e sulle quali non ci soffermiamo qui (grafie personali, per cui rimandiamo ai link all'inizio della pagina).

Tipicamente, i sostenitori di una o dell'altra portano i loro argomenti per sostenere la tesi che la grafia che loro usano sia la migliore, tanto che qualcuno afferma che le discussioni sulle grafie siano lo sport nazionale dell'Occitania. L'obiettivo qui è fare un semplice richiamo divulgativo a quelle che si possono incontrare più comunemente, nella speranza che possa essere utile per iniziare a scrivere.

La concordata. Nella nostra zona, La Valaddo e la Scuola Latina di Pomaretto usano prevalentemente la grafia concordata, elaborata e approvata nel 1972 da una commissione di patouzant delle valli piemontesi e studiosi dell'Università di Torino con il rilevante contributo del Prof. Arturo Genre a partire dalla più antica grafìa mistraliana. La concordata venne da subito diffusa dalla testata Coumboscuro del Coumboscuro Centre Provençal.

Raimondo Genre ci spiega: "Mi sembra anche la più semplice da usare perché mi consente di scrivere come parlo. Di mettere 'nero su bianco' una cultura finora confinata nell'oralità. Basta familiarizzare con alcune semplici regole mutuate – in parte – dal francese, espediente adottato dal Genre che si vedeva costretto ad utilizzare una Olivetti Lettera 22, cui aveva fatto modificare alcuni tasti che gli consentivano di scrivere le lettere non presenti nell'alfabeto italiano". "Questa grafia, che chiamerei 'parzialmente fonetica' consente, inoltre, a chi mi legge di capire come pronuncio una parola o una frase e, anche, da dove provengo."

L'insieme di simboli presenta anche i medievali nh (per il suono dell'italiano gn) e una riorganizzazione razionale della notazione che permette di rappresentare in modo univoco una varietà di suoni che non sono presenti nell'italiano, per esempio ë, zh, eu, ma che si trovano nei patouà delle valli piemontesi.

Il principale svantaggio della concordata sta proprio nel suo essere fonetica e di mettere in risalto le particolarità di ciascuna variante anche nella forma scritta: la stessa parola si scrive in modo diverso in ciascuna varietà. Per esempio valanga si scrive chalancho in martinenc e tsalonts a Pragelato. Non si ha una forma scritta unica di riferimento.

La normalizzata. Questa varietà delle scritture non è presente nei testi in grafia normalizzata, che ha lo scopo di evidenziare l'unità dell'origine delle varietà e la continuità con la lingua dei testi medievali. La varietà di riferimento per la scrittura è unica ed è l'occitano linguadociano: una scrittura, pronunce diverse.

Nelle valli occitane cisalpine la normalizzata è stata presentata per la prima volta nel 1974 (F. Bronzat, Lou Soulestrelh, 1974, n.1) e il completamento della normalizzazione è il Dizionario Italiano-Occitano. È necessario conoscere le regole di pronuncia per ogni variante che si voglia leggere.

Per l'esempio di sopra, valanga, in normalizzata si scrive ovunque chalancha ma le regole di pronuncia cambiano da un luogo all'altro: "ch" si legge, per intenderci, come c dolce in martinenc ma come z dura in pradzalenc. Allo stesso modo la "a" finale si legge "o" nella prima variante mentre non si legge proprio nella seconda. Infine in pradzalenc le a toniche si trasformano in o. Così si hanno le due pronunce diverse della stesso simbolo normalizzato.

Lo svantaggio della grafia normalizzata sta nel fatto che la maggior parte delle parole non sono scritte come si pronunciano ed è come se si andasse a scrivere una varietà diversa da quella che si parla. Si ha il vantaggio di essere direttamente comprensibili, nello scritto, tra varietà anche molto diverse.

La mistraliana. D'altra parte, la terza grafìa che citiamo in questo articolo è la più vecchia mistraliana, adottata dal Premio Nobel Frédéric Mistral (1830-1914) e legata al movimento del Felibrige (1854). Essa si ispira alla grafìa francese per rappresentare alcuni suoni (ou, u, eu, gn), è tendenzialmente fonetica ma talvolta prevale l'etimologia.

Un'altra lingua locale vicina in una situazione simile

Come per l'occitano, anche nel caso del piemontese il numero di persone che sanno leggere e scrivere è limitatissimo rispetto al numero di parlanti, con il numero di madrelingua in diminuzione nel tempo. La grafia può avere importanza nel futuro di quest'altra lingua locale che, ora, gode di buona salute, ma probabilmente sarà anch'essa "in via di estinzione" nel giro di qualche decennio, visto quanti pochi nonni, in certi luoghi, hanno figli e nipoti che lo parlano.

Il problema principale del piemontese è che ha più vocali dell'italiano: una è la e semimuta che si scrive prevalentemente ë, più la varietà di suoni vicini a o e u. Possiamo infatti identificare questi suoni: o e u simili all'italiano, la u chiusa alla francese, che in tedesco si scrive ü, la o chiusa alla francese (eu, oe), che in tedesco si scrive ö. Le grafie si distinguono principalmente per come scrivono questi suoni.

In passato si era pensato di scrivere la u italiana con la forma francese ou, in quanto evitava di andare ad intaccare gli altri suoni. Essendo però il piemontese una lingua con molte u, si correva il rischio di appesantire eccessivamente la scrittura e la lettura dei testi (i countouma fin a nouvantedoui).

La grafia del "caplet". Il poeta Pinin Pacòt aveva infatti già elaborato tra il 1927 e il 1930, con l'editore Viglongo, una grafia di riferimento per tutti gli scrittori. Il gruppo di scrittori che si riuniva intorno al giornale "Il Birichin" scriveva con il cosiddetto "caplet" sulla o (accento circonflesso, ô). Per esempio i côntôma fin a nôvantedoui.

La grafia standard. Recentemente il professor Bruno Villata ha elaborato una nuova grafia più aderente all'italiano in cui si usa la lettera u per il suono della u italiana, e la lettera con dieresi ü per il suono u chiusa. Successivamente la Fondazione Saveij ha ripreso la grafia di Villata, modificandola ancora leggermente, e usa ancora oggi questa variante.

La Grafia Piemontese Moderna. Si giunse quindi alla rappresentazione con il segno grafico ò per la o aperta italiana che in piemontese è sempre tonica (còla, fòrt), nota anche come grafia classica. Con il segno o senza accento si indica invece la u italiana, definita in antichità la o oscura perché considerata una via di mezzo tra la o e la u (contè, mon). Infine con il simbolo u, si esprime il suono della u francese (bur, muraja).

La Cà dë Studi Piemontèis (Centro Studi Piemontesi), per esempio, ha quindi scelto questa grafia, definita Grafia Piemontese Moderna, anche perché ampiamente condivisa da tutti gli scrittori piemontesi di prestigio del tempo, in primis da Pinin Pacòt, ma anche da Nino Costa, tutti i membri della Compagnia Dij Brandè e oggi anche da Wikipedia.

Naturalmente, non essendo il piemontese materia istituzionale, ognuno può con facilità continuare a scrivere come vuole. Basta dare un'occhiata ad alcuni siti, blog che radunano gruppi di piemontesi per osservare il modo "casalingo" con cui si scrive. Nel momento in cui qualcuno desidera fare un discorso più serio, si rivolge nella maggior parte dei casi alla Grafia Piemontese Moderna.

A un italiano, il fatto che la o si legga u in piemontese può sembrare un'assurdità, ma se si pensa all'inglese sembra tutto più ovvio: tutti sanno che la lettera "i" si pronuncia "ai". Se qualcuno la pronunciasse all'italiana "i" verrebbe catalogato come un ignorante.

Albina Malerba, direttore del CSP, stima che oggi il 90-95% della gente che scrive in piemontese adotti la Grafia Moderna, che fornisce un vantaggio comunicativo. Possono esserci alcune varianti locali concordate, soprattutto alessandrine e novaresi, ma sottostanno tutte alla grafia moderna.

A titolo di esempio, il toponimo Oropa si scrive in italiano come in grafia moderna (cambia ovviamente la pronuncia), nelle altre è Ôrôpa, Urupa e Ouroupa. Bottiglia invece si scrive bota in moderna, bôta, buta e bouta nelle altre.

 

In conclusione, la ricchezza (e la bellezza) delle varietà delle lingue locali si rispecchia un po' anche nella varietà di grafie, piccolo ostacolo iniziale a chi si appresta a imparare a leggere e scrivere. L'importante per chi inizia è di esserne al corrente e, almeno all'inizio, lavorare solo su una grafia, evitare di mettere troppa carne a fuoco e fare confusione.

Rossella Prot e Luca De Villa Palù

Ringraziamo Raimondo Genre, Albina Malerba, Aline Pons e Alessandro Strano per il loro contributo.

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